Esso costituisce una declinazione del diritto alla riservatezza, avente quale scopo quello di rimuovere dal circuito informativo una notizia che risulti allo stato non più rispondente ad un interesse pubblico, ed avente a sua volta un’incidenza negativa sull’identità personale.
E’ un diritto di origine giurisprudenziale, grazie all’attività operata dalla Corte di Cassazione negli anni ‘90, ed è da intendersi come: “il diritto di ogni persona a non restare indeterminatamente esposta ai danni ulteriori che arreca al suo onore e alla sua reputazione la reiterata pubblicazione di una notizia in passato legittimamente divulgata”. La stessa Corte lo ha definito come «diritto al segreto del disonore», per il caso di avvenimenti di particolare gravità, quando dall’evento stesso fosse trascorsa una consistente quantità di tempo.
Particolari problemi sorgono proprio in relazione allo sviluppo dei mezzi di comunicazione che hanno reso sempre più difficile gestire la diffusione di informazioni, nonché il contemperamento tra contrapposti interessi. Appare evidente la difficoltà, in tale contesto, del bilanciamento tra i diritti della personalità come il diritto alla riservatezza, reputazione, onore e tutela dei propri dati, e il diritto alla libera manifestazione del pensiero, nonché il diritto all’informazione.
L’intervento a livello europeo
Significativo a livello europeo è stato l’intervento operato dalla Corte di Giustizia dell’Unione Europea nella nota controversia C-131/12 tra un cittadino spagnolo e Google Spain. Il cittadino spagnolo aveva richiesto a Google Spain la rimozione, dai risultati generati dal motore di ricerca, di un collegamento ad un sito web contenente informazioni personali lesive, le quali non erano più rispondenti ad esigenze di attualità.
Google, nonostante l’invito rivolto ad opera dello stesso garante della protezione dei dati personali, non addiveniva alla rimozione del collegamento, adducendo la conseguente limitazione della libertà di espressione.
La Corte di Giustizia dell’Unione Europea, su rinvio della Corte Suprema Spagnola, interpretando la direttiva 95/46/CE sulla protezione dei dati personali, concluse che “l’attività di un motore di ricerca consistente nel trovare informazioni pubblicate o inserite da terzi su Internet, nell’indicizzarle in modo automatico, nel memorizzarle temporaneamente e, infine, nel metterle a disposizione degli utenti di Internet secondo un determinato ordine di preferenza, deve essere qualificata come «trattamento di dati personali»”. Stante la riconducibilità di tale attività al trattamento dei dati personali, non si poteva non ritenere responsabile il gestore del servizio del trattamento dei dati medesimi.
Pertanto, odiernamente, si potrà richiedere all’autorità giudiziaria nazionale di ordinare al motore di ricerca la cancellazione “dall’elenco di risultati, che appare a seguito di una ricerca effettuata a partire dal nome di una persona, dei link verso pagine web pubblicate da terzi e contenenti informazioni relative a questa persona, anche nel caso in cui tale nome o tali informazioni non vengano previamente o simultaneamente cancellati dalle pagine web di cui trattasi, e ciò eventualmente anche quando la loro pubblicazione su tali pagine web sia di per sé lecita”.
La rimozione non è però giustificata laddove per ragioni particolari, come il ruolo ricoperto da una persona nella vita pubblica, l’ingerenza nei suoi diritti fondamentali è giustificata dall’interesse preponderante del pubblico ad avere accesso, in virtù del ruolo svolto, all’informazione di cui trattasi.
Da ciò la necessità di dare atto dell’evoluzione giurisprudenziale, mediante l’adozione di una normativa adeguata in materia di trattamento dei dati personali, come avvenuto di recente con il regolamento UE 2016/679. Ad esso si deve infatti la individuazione di una serie di diritti ed obblighi, che consentono alla persona fisica di ottenere dal titolare del trattamento la cancellazione dei dati personali senza ritardo in presenza delle motivazioni previste all’art. 17.
L’intervento a livello internazionale
la Corte europea dei diritti dell’uomo ha affermato, con la recente sentenza del 26 giugno 2018, che il diritto all’oblio rientra nell’ambito del diritto alla tutela della vita privata previsto dall’art. 8 CEDU (Convenzione europea dei diritti dell’uomo).
L’intervento a livello nazionale
In tema di rapporti tra il diritto alla riservatezza (nella specie del diritto all’oblio) e il diritto alla rievocazione storica di fatti e vicende concernenti eventi del passato, il giudice nazionale ha il compito di valutare l’interesse pubblico, concreto ed attuale alla menzione degli elementi identificativi delle persone che di quei fatti e di quelle vicende furono protagonisti. Questo è stato chiarito dalla Corte di Cassazione a Sezioni Unite, nella sentenza del 22 luglio 2019, n. 19681, la quale ha confermato l’orientamento giurisprudenziale favorevole al riconoscimento del diritto all’oblio, già disciplinato dal Regolamento UE n. 2016/679, laddove ricorrano determinate circostanze.
Il caso de quo riguardava una nota vicenda giudiziaria di 25 anni prima, relativa ad un caso di omicidio commesso da un individuo che nel frattempo aveva scontato la pena in carcere e si era positivamente reinserito nel contesto sociale.
Secondo la Cassazione, nel contrasto tra questi due opposti diritti, il giudice deve valutare l’interesse pubblico, concreto e attuale alla menzione degli elementi identificativi delle persone che furono protagonisti di quelle vicende.
La rievocazione pertanto è lecita solo se si riferisce a personaggi che suscitino odiernamente un interesse nella collettività, sia per ragioni di notorietà sia per il ruolo pubblico rivestito; altrimenti, prevale il diritto degli interessati alla riservatezza rispetto ad avvenimenti del passato che li feriscano nella dignità e nell’onore e dei quali si sia ormai perso ogni ricordo.
Tutela civilistica
Per assicurare una giusta tutela a livello nazionale, gli strumenti previsti dall’ordinamento ed applicabili a tali fattispecie sono:
- in via preventiva, il ricorso ex art. 700 c.p.c. che, essendo un procedimento cautelare atipico, permette nel più breve termine possibile di ottenere dal giudice il provvedimento più adatto alla cessazione della condotta lesiva;
- in via successiva, con giudizio di merito per ottenere il risarcimento dei danni non patrimoniali sofferti in seguito alla violazione di un valore della personalità umana, nei casi previsti ex art. 2059 c.c.. Una volta raggiunta la prova sull’esistenza dell’evento dannoso, la natura non patrimoniale del pregiudizio subito, riguardando soltanto gli aspetti relazionali dell’onore e della reputazione lesi, potrà aversi soltanto in via meramente equitativa. Tutto ciò sarà parametrato alla sofferenza psichica causata dalla lesione della reputazione personale e professionale, il contesto in cui le dichiarazioni sono state rese, la gravità del fatto nel contesto sociale di riferimento, il rilievo sociale del soggetto ed la diffusione delle dichiarazioni offensive.
