La diffamazione on-line e l’esimente della provocazione

La Corte di Cassazione con la sentenza n. 3204/2021 conferma la condanna dell’imputata per il reato di diffamazione aggravata (art. 595 co. 3 c.p.) non potendosi riconoscere l’esimente della provocazione, in quanto la pubblicazione di post denigratori su Facebook nei confronti dell’ex marito e dell’amante, essendo realizzati a distanza di tempo dalla fine della relazione rivelano piuttosto sentimenti di odio e vendetta.

L’art. 595 c.p.: la diffamazione

Il bene tutelato è la reputazione. La dottrina prevalente, aderendo alla concezione c.d. fattuale dell’onore, definisce la reputazione quale onore in senso oggettivo, dunque come percezione che la collettività ha delle qualità essenziali di una persona.

L’elemento oggettivo del reato consta di tre requisiti:

a) l’assenza dell’offeso, che si deduce dall’inciso “fuori dei casi indicati nell’articolo precedente” con cui si apre l’art. 595 c.p. (l’art. 594 c.p., infatti, ora abrogato, prevedeva la necessaria presenza dell’offeso al momento della condotta). L’assenza della persona offesa al momento dell’azione criminosa consiste nell’impossibilità che la persona offesa percepisca direttamente l’addebito diffamatorio;

b) l’offesa alla reputazione di una persona. La prevalente dottrina reputa sufficiente la mera probabilità che le espressioni utilizzate si traducano in un’effettiva lesione, così che la diffamazione viene qualificata come reato di pericolo;

c) la comunicazione con più persone, per cui occorre che l’agente renda partecipi dell’addebito diffamatorio almeno due persone (tra le quali non vanno ovviamente conteggiati il soggetto passivo, il soggetto attivo e gli eventuali concorrenti nel reato), che siano state in grado di percepire l’offesa e comprenderne il significato. Quanto al requisito della comunicazione con più persone in relazione alla diffamazione commessa via internet, tutta la più recente giurisprudenza è orientata nel ritenere che, allorché una notizia risulti immessa nel circuito internet, la sua diffusione e quindi la comunicazione con più persone deve presumersi fino a prova contraria.

La questione della diffamazione on-line

Una peculiare questione su cui si è concentrata recentemente l’attenzione della giurisprudenza è quella relativa alla estensione del reato di diffamazione a mezzo stampa, qualora il mezzo utilizzato per realizzare il reato non è il periodico cartaceo, bensì piattaforme o giornali on-line. In proposito giova richiamare Cass. Pen., sent. 23 gennaio 2017, n. 8482, nella quale si dice che l’uso dei social network, e quindi la diffusione di messaggi veicolati a mezzo internet, integra un’ipotesi di diffamazione aggravata ai sensi dell’art. 595 comma 3 c.p., poiché trattasi di condotta potenzialmente capace di raggiungere un numero indeterminato di persone, qualunque sia la modalità informatica di trasmissione o condivisione. Tale tesi appare confortata dalla lettura dell’art. 595 comma 3 c.p., il quale, riferendo la diffamazione all’uso del mezzo della stampa ovvero disgiuntamente all’uso di ogni altro mezzo di pubblicità, rende evidente come la categoria dei mezzi di pubblicità sia più ampia del concetto di stampa, includendo tutti quei sistemi di comunicazione e quindi di diffusione che rendono possibile la trasmissione di dati ad una platea indeterminata di persone.

La Corte di Cassazione e la sentenza n. 3204/2021

La vicenda trae origine dalla conferma in grado di appello di una condanna in primo grado per diffamazione aggravata a mezzo internet ex art. 595 c.p., per avere l’ex moglie diffuso notizie relative alla relazione extraconiugale tra il proprio ex coniuge e un’altra donna, apostrofando quest’ultima con epiteti volgari ed offensivi dell’onore e della reputazione.

Nel caso di specie, tra i motivi di doglianza nel ricorso in Cassazione si lamentava il mancato riconoscimento dell’esimente della provocazione rappresentata dalla relazione extraconiugale e della mancata valutazione delle condotte moleste realizzate invece a suo danno negli anni passati.

Tale motivazione, che è stata dichiarata inammissibile per genericità, permette però alla Corte di Cassazione di esprimersi ancora una volta sul rapporto tra diffamazione ed esimente della provocazione ex art. 599 c.p.. Nella sentenza de quo emerge come la Corte abbia confermato la non applicabilità rilevando che: “la condotta diffamatoria dell’imputata è stata posta in essere allorquando la relazione extra coniugale del marito era già terminata, e comunque per un tempo eccedente l’immediatezza dei fatti, essendo dunque espressione più di un proposito di vendetta, di uno sfogo della rabbia, che di una reazione ad una provocazione”.

Come chiarisce la stessa Corte: “ai fini del riconoscimento dell’esimente della provocazione nei delitti contro l’onore, sebbene sia sufficiente che la reazione abbia luogo finché duri lo stato d’ira suscitato dal fatto provocatorio, non essendo necessaria una reazione istantanea, è richiesta tuttavia l’immediatezza della reazione, intesa come legame di interdipendenza tra reazione irata e fatto ingiusto subito, sicché il passaggio di un lasso di tempo considerevole può assumere rilevanza al fine di escludere il rapporto causale e riferire la reazione ad un sentimento differente, quale l’odio o il rancore”.

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